Un vero e proprio ciclo dell’acqua interno all’azienda che, proprio come quello biologico, non si ferma mai. Ma con un sogno nel cassetto: arrivare quanto più vicini possibile al 100% di reimpiego dell’acqua utilizzata. Nel sito di STMicroelectronics ad Agrate Brianza (MI), è stato lanciato nel biennio 2007-2008 un sistema di recupero e trattamento dell’acqua che, ad oggi, non solo permette di abbattere del 42% l’utilizzo di acqua di falda ma che è anche funzionale all’intero processo produttivo. A spiegarci i suoi meccanismi di funzionamento è Cinzia Quartini, Water & Ecofacilities Manager del sito di Agrate, che lavora in ST da 16 anni.
“La premessa che dobbiamo fare è che un’azienda di microelettronica ha un forte bisogno di acqua e – argomenta – il solo sito di Agrate necessita mediamente di 400 m³/h”. Qui, l’oro blu è indispensabile per rimuovere impurità dai wafer da cui nasceranno i microchip, ma serve anche per raffreddare i macchinari, mantenere stabili le temperature degli impianti e, naturalmente, anche per usi civili (ci sono più di 5000 dipendenti nelle 24 ore). Complessivamente, il 2% dell’acqua nello stabilimento è potabile e viene fornita dalla rete idrica comunale, mentre il 98% serve usi industriali e, di fatto, viene prodotta in house da STMicroelectronics.
Ma da dove viene quest’acqua così preziosa?
“Tutto comincia dalle falde che si trovano sotto lo stabilimento di Agrate. A partire da 11 pozzi si emunge l’acqua – racconta Quartini – distribuita al Sito. Nel Sito ci sono due pozzi che pescano dalla falda profonda – prosegue – a circa –120 metri sotto il suolo, mentre i restanti nove sono di prima falda a –28 metri”. Essendo l’acqua di falda profonda, per proprietà intrinseche, di una qualità superiore, la politica dell’azienda prevede di pescare per usi industriali prevalentemente l’acqua che si trova nelle falde più superficiali, “salvando” così quella migliore per usi civili destinata alle comunità circostanti, tra cui i comuni di Agrate Brianza e Caponago.
L’acqua estratta dalla prima falda, a questo stadio definita “grezza”, viene quindi incanalata in due differenti circuiti. Il 30% di essa viene impiegata per utilizzi civili e industriali (ad esempio per le centrali frigorifere, gli scarichi dei bagni e l’antincendio), mentre il restante 70% confluisce negli impianti di produzione di ’acqua ultrapura – denominati con l’acronimo inglese UPW (UltraPure Water) – che la trattano secondo specifiche stabilite a livello produttivo per poterla utilizzare nel risciacquo dei wafer. “Il cuore di questo processo è detto osmosi inversa e – spiega Quartini – consiste in un filtraggio a pressione sempre più serrato dell’acqua fino ad eliminarvi l’organico a livello di parti per bilione, ioni e cationi a livello di parti per trilione”. Tutti spremuti via.
Quello che si ottiene, in sostanza, è un composto in purezza di due atomi di idrogeno e uno di ossigeno. “È H2O senza null’altro ma – dice sorridendo la responsabile delle risorse idriche – non si tratta di acqua distillata come spesso mi viene detto. È qualcosa di molto, molto, più puro”.
Uscita dall’impianto UPW, l’acqua ultrapura si dirige verso i reparti produttivi dove può essere impiegata per lavare i wafer, ovvero eliminare impurità chimiche e particellari senza alterarne o danneggiarne la superficie. Il lavaggio dei wafer fa entrare l’acqua in contatto con gli acidi e le basi usati in clean room. Questa miscela viene inviata agli impianti di trattamento finale e reimmessa nel circuito municipale, che la filtrerà nuovamente prima di poterla scaricare.
Riutilizzo dell’acqua
Il processo di osmosi inversa, togliendo gli ioni, le particelle e il materiale organico, genera degli scarti, quantificabili nel 25% dell’acqua lavorata. “Si tratta pur sempre di acqua, ma molto salina e – ricostruisce Quartini – anni fa ci siamo detti: perché non riutilizzarla in qualche modo?”. E di fatti, circa la metà di questo scarto (il 12% dell’acqua in precedenza inviata all’UPW) viene trattata in profondità per ritornare acqua grezza da ultrapurificare di nuovo, mentre l’altra metà viene instradata ad un serbatoio che la indirizza a utenze secondarie. Nella fattispecie, il due per cento finisce negli scrubber, che sono appositi sistemi per l’abbattimento degli inquinanti presenti negli exhaust derivanti dai sistemi produttivi. L’undici per cento, invece, viene indirizzato nelle torri di raffreddamento per il governo della temperatura degli ambienti.
La parte restante, non più riutilizzabile, viene quindi inviata agli impianti di trattamento waste water per lo scarico, adibiti a portare entro i limiti di legge i parametri che consentono a quest’acqua di poter uscire dallo stabilimento. Di qui, infatti, sarà indirizzata verso un impianto municipale esterno di ulteriore trattamento per lo scarico definitivo. “Ma abbiamo un sogno e cioè – ragiona Quartini – utilizzare l’acqua del waste water per produrre acqua grezza in modo tale da avvicinarci così al 100% di riutilizzo”. Resta da dire, a questo punto, che non tutti gli impianti per l’acqua ultrapura sono uguali. Il modello di osmosi inversa di Agrate, infatti, si basa su membrane filtranti in acetato di cellulosa che garantiscono le performance che abbiamo descritto. Il nuovo impianto di “Agrate 300” in fase di avviamento, diversamente, possiede un proprio sistema di purificazione basato su membrane in poliammide. Queste tecnologie, più recenti, sono in grado di estrarre dall’acqua grezza ben il 98% di acqua ultrapura, generando solo il 2% di scarti. “L’aspirazione a questo punto – rivela Quartini – è quella di poter cambiare tutte le membrane di Agrate da acetato di cellulosa in poliammide, ma per poterlo fare dobbiamo capire come risolvere alcuni limiti tecnici dettati dalla produzione. Non possiamo, infatti, interromperla bruscamente per compiere questa operazione”. Ma quindi, se si cambiassero tutte le membrane, il sistema di riciclo di Agrate sarebbe dismesso? “Assolutamente no, perché – conclude – vi saranno sempre scarti da recuperare e vogliamo incrementare anche il riutilizzo dell’acqua in uscita dagli impianti waste water”. Innovazioni, problem solving, ricerca continua di miglioramento. Il segreto del ciclo dell’acqua di Agrate, prima ancora che nei macchinari, sta nella sua stessa filosofia. Che proprio come il ciclo dell’acqua che nutre il nostro Pianeta, non si ferma mai.
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