Cominciamo da 100

di Giuseppe Caravita Cento euro, cioè due cene in un buon ristorante, un telefonino usato, l’abbonamento a una palestra. Oppure 100 euro che lo studente decide di investire in una svolta del suo futuro.

di Giuseppe Caravita

Cento euro, cioè due cene in un buon ristorante, un telefonino usato, l’abbonamento a una palestra. Oppure 100 euro che lo studente decide di investire in una svolta del suo futuro.
Sa programmare un po’, è appassionato di robotica e vuole provarci: un robot a tre bracci coordinati, una sorta di polpo sensorializzato, dove ciascuna “mano” sa esattamente dov’è (e lo dice alle altre) in ogni momento, e il sistema è guidato da uno strumento di precisione a distanza, un’app sul suo cellulare, a cui ha già dato una prima sgrossata.
“Già, ma chi mi dà l’elettronica?” pensa lo studente. “E sarà di sicuro follemente costosa . Ho bisogno di un’unità sensoriale che mi controlli i movimenti di tre punti indipendenti su nove o persino 10 assi. Poi almeno tre controlli motore sofisticati, un sistema di comunicazione Wi-Fi o Bluetooth per parlare con il cellulare o la rete. E infine, alla base di tutto, un processore compatibile con lo smartphone, programmabile nel modo più semplice e magari gratis”.
Fino a pochi mesi fa questo sogno dello studente, appassionato di robotica, sarebbe stato cacciato in un cassetto (mentale) in attesa di tempi migliori. Cambiare la propria vita con 100 euro. Bello e impossibile.

LA BARRIERA DI INGRESSO SI ABBASSA
Ora però qualcosa sta cambiando. I 100 euro della nuova elettronica, la bassa barriera di ingresso per tutti, si possono già osservare al lavoro ad Agrate, nei laboratori del Central Lab di ST. Tre team lavorano su banchi vicini l’uno all’altro, e su piccoli accrocchi di schedine elettroniche, l’una montata sull’altra. “Questa alla base è NUCLEO – mostra Alessandro Cremonesi, direttore del Central Lab – ha al centro l’STM 32, uno dei microcontrollori più diffusi al mondo. E sopra quelle che chiamiamo X-NUCLEO. In questo caso una schedina BlueTooth Low Energy per comunicare e un’altra con quattro microfoni MEMS a bordo”. Obbiettivo, vincere il gran premio per il microfono direzionale assoluto, capace di catturare una voce o un suono in una marea di rumore esterno. Il trucco, spiegano i progettisti, sta nel lavorare su coppie di microfoni, orientarli direttamente sulla sorgente prescelta e poi calcolare la differenza di rumore tra i due, eliminando digitalmente i suoni trasversali. Il risultato è straordinario. E , a parte il software, il sistema costa meno di 100 euro.
A volte la scatoletta di schedine impilate non basta più. E’ il caso di una sorta di orologio luminoso in progetto da parte del
gruppo accanto. Sono partiti anche loro da NUCLEO più Bluetooth e un sistema di led verdi e fotodiodo. Ora lavorano su una schedina miniaturizzata che si sono fatti fare su misura. Lavorano su un sistema dal nome astruso: fotopletismografia. In pratica, sangue venoso e sangue arterioso danno risposte diverse alla luce verde dei led.
A partire da lì si può costruire, con opportuni algoritmi, uno schema d’onda di battito cardiaco molto vicina a quella classicamente ottenibile da un elettrocardiogramma. Risultato: un dispositivo molto leggero, poco invasivo, che può stare anche dentro un orologio e trasmettere in tempo reale i dati vitali sulla rete, persino dalla vasca di una piscina.
Infine la scatoletta sensoriale vicina al sogno del nostro ipotetico studente. Qui il gruppo di ST ha impilato quanto di più avanzato, forse, c’è in azienda. Sulla scheda NUCLEO STM32 un primo strato di sensori MEMS di movimento: giroscopio, accelerometro, bussola (magnetometro) e sopra un’altra X-NUCLEO con sensori di temperatura, pressione (ovvero altezza e profondità) e umidità. In termini tecnici il massimo per il motion sensoriale: 10 assi.
E poi una interfaccia Bluetooth per il cellulare. “Ci si può inventare di tutto con questo sistema – dice Cremonesi – con un’applicazione di calibrazione del cubetto. Ma, anche a meno dei fatidici 100 euro, è un modulo che può fare cose che prima nemmeno analoghi sistemi da migliaia di euro erano capaci di fare”.

PESCATORI, NON SOLO CACCIATORI
Già, con il programma NUCLEO, ST sta cambiando rotta. Un programma compatibile con la comunità Arduino (sulla board spiccano i connettori per le schedine inventate da Massimo Banzi) ma soprattutto con un ambiente software “Cube”, del tutto gratuito”. Il punto chiave si chiama IoT, Internet of Things, internet delle cose. Ma noi vogliamo andare oltre. Con la migliore capacità italiana. Saper fare le cose belle e che piacciono. Mobili, accessori, lampadari, wearable, borse…. Stiamo rendendo l’uso dell’elettronica facile anche per chi non la sa fare.

CHE OPPORTUNITA’ CON INTERNET OF THINGS
“In questi anni, infatti, sono avvenute due grosse transizioni – continua Cremonesi – La prima è il cloud. Prendiamo Google e Facebook. Sembrano presenti da una vita, in realtà da soli dieci anni. Danno i servizi tramite investimenti nei server. Ibm li ha ottimizzati, creando il cloud. Oggi tutti lo usano. Oggi un’azienda che vuol fare applicazioni cloud può all’inizio comprare servizi di rete per dieci prototipi. Poi, se ha successo, salire a diecimila. Non c’è più una barriera iniziale. Qui un mondo è stato aperto. C’è un’opportunità. Se io, azienda magari piccola della Brianza, voglio fare un servizio per l’esondazione del Lambro, posso farlo velocemente. Ci trovo tutti i tool necessari. Cosa manca? La capacità di mettere insieme questi pezzi. Rendere facile l’elettronica, togliere la barriera. Creare gli oggetti.
Un esempio. Una piccola azienda italiana ha messo un Bluetooth e un sensing di corrente elettrica in una presa domestica. Per cui ti dice quanto consumi. In casa questa presa non serve a niente. Ma loro hanno portato questi device nei supermercati dove ci sono intere batterie di affettatrici. In base al consumo di corrente ora sanno quanto è stata utilizzata ogni singola affettatrice e hanno messo assieme un servizio di manutenzione programmata. Per ogni macchina di una linea. Si sono creati un business. Grazie all’elettronica resa facile e anche al cloud accessibile. Non possiamo perdere quest’opportunità. L’IoT invece di partire dall’elettronica deve partire dalle cose, dai prodotti già esistenti. Un altro esempio: una macchina movimento terra sensorializzata. Con un sistema di manutenzione programmata ad hoc. Finisce per costare meno, per chi la gestisce, di una pari macchina a basso costo asiatica. Se ha i sensori sui punti giusti, e il programma giusto”.
“L’internet delle cose è allo stesso tempo globale e locale – dice Onetti. Implica una tecnologia globale e la più avanzata possibile. Ma è allo stesso tempo un’area di business model locali. E’ un trend del tutto diverso da quelli a cui in passato eravamo abituati. Un esempio. Io voglio abilitare un’illuminazione pubblica intelligente che si accenda e spenga a seconda del numero di veicoli che circolano. Se realizzo un sistema efficiente, le spese pubbliche possono ridursi, e così le tasse per i cittadini. Questo è un progetto locale, ma di quali ingredienti ho bisogno? I sensori, ma anche una rete di comunicazione efficiente. Fino al software di controllo posto nel cloud.
I componenti di questo sistema devono essere piccoli, a basso consumo di energia, dotati di connettività e di “colla”, cioè di un raccordo forte con il mondo analogico. Ed è questo l’obbiettivo di un’azienda come la nostra: generare i pezzi di tecnologia avanzata a misura di queste esigenze”.
E non è un mondo fermo, ma in movimento. Il fatto che ST metta sul piatto NUCLEO con STM32, poi Bluetooth, i suoi sensori MEMS, controlli motore e altro in futuro non esaurisce la frontiera.
“Anzi, in molti campi siamo ancora agli inizi – dice Onetti. Prendiamo un sistema di allarme domestico. Dove ho un gateway digitale in casa connesso a una rete di sensori su tutte le finestre. Se sono costretto a usare sensori a batteria questo significa che, a tecnologie attuali, non posso superare un periodo di manutenzione di più di due anni. E immaginiamoci i costi di questa manutenzione. Ma se avessi moduli sensoriali attivi per 10 anni, il business model cambierebbe radicalmente. Non dovrei farmi pagare in anticipo quest’attività di manutenzione onerosa. Noi, al momento, stiamo muovendoci da moduli di due a a moduli di cinque anni di vita. Dotati di un power management sofisticato. Ma c’è ancora molto da fare nell’harvesting (recupero di energia dall’ambiente), nella ricarica e nell’estensione del ciclo di vita delle batterie”.
Frontiere ma, insieme, l’internet of things richiede semplicità intrinseca. “Chi sta avviando questi business model? Le grandi aziende? Certo, alcune di loro ci sono. Ma il grosso oggi viene da ciò che si sprigiona dal campo locale, le startup, gli sviluppatori, i makers”.
Come quei 25mila che l’anno scorso sono convenuti a Roma per l’European Maker Faire. Un autentico movimento dal basso, prevalentemente focalizzato sulla piattaforma Arduino. Diffusa ma che, con il suo controllore Atmel a 16 bit, ormai mostra chiaramente le sue limitazioni, specie per applicazioni sofisticate.
“E’ un mondo pragmatico –spiega Onetti. Non c’è la ricerca a tutti i costi della tecnologia più avanzata, degli strumenti più sofisticati. Il punto invece è quello che serve per creare un business model sostenibile. Sensori, sì, quanto più possibile, a batteria. Connettività, certo per inviare i dati al cloud. Ho un braccialetto, per esempio. Genero i dati e li invio al cloud, e poi tornano in forma comprensibile, con un valore sufficiente per essere acquistati. Questo è almeno finora il business model nei dispositivi wearable.
Un altro esempio. Alcune settimane fa ero a New York per la settimana della moda. C’era un’azienda che metteva in mostra “calzini intelligenti”, fatti in materiali speciali combinati con elettronica, capaci di sentire il tuo movimento e passo. E ne avevano disponibili solo duemila. In programma non più di seimila. Perché? Chiedo loro. Perché l’idea non è quella di produrre i calzini, quanto di raccogliere i dati. Una volta creato un ampio database di come la gente si muove e cammina, potremo venderlo. E per avviare questo business devo essere veloce, non mi importa se uso Arduino o altro, perché quello che voglio è questo database unico nel suo genere”.

PER I MAKERS, MA ANCHE PER LE IMPRESE CHE PUNTANO SULLA VELOCITA’
Sono lezioni che impongono un mutamento di rotta piuttosto profondo per una grande azienda elettronica, qual è ST, abituata a pensare in termini di tecnologie proprietarie, di grandi volumi, di rapporti diretti con i grandi clienti e di netta separazione con i concorrenti.
“NUCLEONUCLEO invece nasce compatibile con Arduino – dice Onetti – e costa dieci dollari. Chi ha una scheda Arduino può montarla su NUCLEONUCLEO e farla funzionare con l’STM32. E servirsi degli X-NUCLEO aggiuntivi. Così vogliamo combinare l’ecosistema dei Makers con l’area delle micro imprese industriali.
Non solo: diamo la possibilità, a chi vuole, di sviluppare una piena compatibilità reciproca. Ovvero driver sia per Arduino sia per STM32. Mettendo a disposizione un ambiente a misura: Cube.
E poi gli X-NUCLEO. Per esempio il Bluetooth. Metto la scheda NUCLEO su un Arduino. E inserisco il Bluetooth su NUCLEO. Ecco che ho potenziato la mia originaria applicazione Arduino con il Bluetooth. E questo vale per i sensori, la robotica e le altre schede che man mano faremo uscire, al ritmo di tre ogni tre mesi. Nei programmi ne abbiamo una ventina, dieci tra esistenti e in uscita e dieci dopo. Sempre però sullo stesso livello di costo, che non deve superare i 200 dollari complessivi di un progetto, la soglia di attrattività per un Maker>.
E non solo l’ecosistema dei Makers. Ma anche il mondo, altrettanto vasto, delle aziende che lavorano su piattaforma ARM. “Qui partecipiamo attivamente a Mbed.org, un ambiente di sviluppo completo online promosso da un consorzio (ARM in prima fila, ovviamente) di 23 aziende – spiega Laurent Desseignes, responsabile dell’ecosistema nella casa degli STM32, il sito ST di Rousset – soltanto da noi abbiamo una sessantina di programmatori al lavoro su Mbed, che oltre al sistema di sviluppo fornisce un database aperto per i driver di applicazioni IoT e persino un sistema operativo ottimizzato per l’ARM Cortex”.
“E’ un ambiente aperto di alto livello – aggiunge Cremonesi – mentre noi forniamo, con Cube, uno più specifico per STM32”. Certo è che Mbed è oggi la piattaforma di riferimento per chi volesse sviluppare soluzioni compatibili anche con altri, da Ibm a Ericsson.
“Ci sono molte alternative – conclude Cremonesi – ma il dato più importante è che NUCLEO rappresenta una grande opportunità per l’Italia. Per partire dai suoi prodotti, reinventarli, su ciò che sa far meglio per mettervi nuova creatività. Sfatando il mito di un’elettronica costosa e difficile. Per questo stiamo finalizzando un programma con le università per far usare loro questa tecnologia. E farla conoscere a studenti e ragazzi”. Migliaia di sogni da “100 euro” realizzati. E saremo fuori dalla crisi.

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